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Quella notte non
era molto diversa da tante altre notti invernali: una pioggerella
sottile ed insistente tracciava cerchi perfetti nella pozzanghera
sotto al vecchio lampione della strada deserta e tutte le finestre
del palazzo di fronte avevano le tapparelle abbassate, tutte tranne
quelle del terzo piano, quelle della “sua” Silvia. Beh, in realtà
chissà come si chiamava, ma per lui era Silvia, e non sapeva
neanche il perché. E poi, del resto, non era neanche “sua”.
Almeno sino ad ora. Di “suo”, c’era solo quella presenza che
poteva intuire dalla luce dietro quella tenda chiusa. Quella
presenza che si animava, puntualmente, verso mezzanotte e venti,
manifestandosi in una sequenza di azioni che Armando aveva imparato
alla perfezione. Perché ogni notte, da ormai sei mesi, Silvia
spegneva la luce di quella che doveva essere la sala, o uno studio,
accendeva quella della camera da letto, poi, dopo quattro minuti,
quella del bagno. Ancora sei-sette minuti e la piccola finestra si
apriva e, per un attimo, solo per un attimo, ma sempre, lei si
affacciava. La scena si chiudeva con lo spegnersi della luce del
bagno e, dopo pochi secondi, di quella della camera. Era allora che
Armando poteva abbassare la tapparella ed andare a sua volta a
dormire, senza nessuno al fianco, ma non da solo, perché sapere
Silvia da sola gliela faceva sentire vicina: due vite solitarie, due
vite di sogni, di piccoli gesti insignificanti e di luci accese e
spente. Per nessuno. Due vite parallele. Non sapeva nulla di Silvia,
nemmeno il nome. Nemmeno la faccia, dal momento che la distanza tra
i due palazzi ed il buio non lo consentivano. Ma Armando aveva già
costruito tutto di lei, nella sua mente, durante le sue notti di
pioggia sui vetri o di luna invadente. Ne aveva disegnato il
carattere dolce e timido, la voce morbida, il nero espressivo degli
occhi, i piccoli difetti.
Guardò
la sveglia sul comodino: mezzanotte e un quarto. Il rito stava per
compiersi ancora una volta, ma sarebbe stata l’ultima. Perché
aveva già deciso: domani l’avrebbe aspettata sotto al suo
portone, se necessario anche per tutto il giorno; l’avrebbe
incontrata e poi, finalmente, vinta la timidezza, la paura o quel
che diavolo era, avrebbe smesso di sognare e l’avrebbe portata via
con sé: lei non desiderava altro, lei era lì apposta.
La
luce si spense: uno, due, tre, quattro… era come se vedesse e
sentisse i suoi passi verso la camera da letto. La luce si accese
dietro alla tenda bianca. Uno, due, tre… anche il bagno si illuminò.
Puntuale, poco dopo, Silvia si affacciò, con quello che doveva
essere il più bel viso del mondo, ma in quel momento accadde
qualcosa di inaspettato, qualcosa che non sarebbe mai dovuto
accadere: la luce della camera si spense. Si spense mentre lei era
affacciata alla finestra del bagno. Chi l’aveva spenta? Chi
c’era a letto ad aspettare Silvia? Si sentiva tradito e preso in
giro: con quella luce si era spento il sogno di Armando.
Silvia
Landini inspirò profondamente l’aria che sapeva di pioggia e
richiuse la finestra. Con la malinconia che accompagna a letto le
persone sole, uscì dal bagno, spense la luce e, trovandosi
nell’oscurità, pensò che doveva aggiungere alla lista della
spesa del giorno dopo anche una stupida lampadina.
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