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Un
bruciore intenso al petto, odore di polvere da sparo, intorno a me
il buio e la voce più bella del mondo che grida angosciata il mio
nome “Mario!… Mario!”. Si dice che negli istanti che precedono
la morte tutta la nostra vita ci scorra davanti agli occhi. Io, in
un lampo, della mia vita rivedo l’ultimo giorno, così eccitante,
così disperato, così tragico.
Ieri,
nella chiesa di Sant’Andrea della Valle, stavo ultimando il
dipinto della Maddalena, quando la comparsa di Cesare Angelotti,
trafelato e sfinito, dava inizio all’incredibile sequenza di
avvenimenti che, in poche ore, mi avrebbero portato alla morte.
Angelotti, già console della spenta repubblica romana e
perseguitato politico, era appena fuggito dal carcere e mi chiedeva
aiuto. Come rifiutare? In nome della libertà, l’avrei salvato
anche a costo della vita.
Intanto
entra in chiesa la mia Floria: il nostro è un amore travolgente, i
suoi occhi neri, per me unici al mondo, ardono di passione, ma lei
è così gelosa che vede rivali dappertutto. Teme che i bisbigli coi
quali mi rivolgevo ad Angelotti, che intanto si è nascosto, fossero
indirizzati ad una donna ed inizia una specie di interrogatorio nei
miei confronti. In preda alla gelosia, riconosce nel quadro che sto
dipingendo il volto e gli occhi azzurri della Marchesa Attavanti (è
vero, ma giuro che mi sono ispirato a lei solo per fini artistici!).
Per fortuna, so bene come tranquillizzarla e, dopo averle
promesso di colorare di nero gli occhi della Maddalena, ci lasciamo,
dandoci appuntamento per la sera, dopo che avrà finito di cantare,
nella mia villa, il nostro rifugio d’amore.
Nella
cappella di famiglia, Angelotti trova intanto le vesti femminili
lasciategli da sua sorella, proprio la Marchesa Attavanti, per
consentirgli un travestimento; io gli passo le mie provviste e gli
indico un nascondiglio segreto nel pozzo della mia villa di
campagna. Un colpo di cannone annuncia che le guardie hanno scoperto
la fuga: in un attimo ci dileguiamo. Mentre corriamo verso la villa,
Scarpia, il capo della polizia, fa irruzione in chiesa, gettando nel
terrore il sagrestano. E’ proprio il sagrestano a far capire a
Scarpia come sono andate le cose: a questo punto per lui tutto è
chiaro, ha solo bisogno di sapere dove mi nascondo. E’ sicuro che,
insieme a me, troverà l’evaso. Con la viltà di cui lui solo è
capace, mette in atto un inganno, contando sulla gelosia della mia
Floria: le fa credere di aver trovato sul palco ove ero solito
dipingere, un ventaglio, che lei riconosce come quello della
Marchesa Attavanti. La mia Tosca, poveretta, pensa di trovare in
quel ventaglio la conferma dei suoi sospetti e, vedendosi crollare
il mondo addosso, fugge piangendo verso la villa, con l’intenzione
di sorprendermi con l’amante. Scarpia la fa inseguire di nascosto
da Spoletta, uno dei suoi scagnozzi. Mi hanno perfino detto che in
chiesa, mentre si cantava il Te Deum, quel mostro farneticasse sul
suo progetto di uccidere me ed Angelotti e di possedere Floria.
***
Adesso
vedo davanti a me la faccia odiosa di Scarpia, in una stanza di
Palazzo Farnese. I suoi scagnozzi, seguendo Tosca, sono arrivati
alla villa, da dove mi hanno prelevato ed arrestato, ma
fortunatamente non sono riusciti a trovare Angelotti. Mi è subito
chiaro che Scarpia tenterà in tutti i modi di costringermi a
rivelare il nascondiglio segreto, ma per nessun motivo al mondo
intendo cedere. Da una finestra aperta giunge la voce soave di
Floria, impegnata in un concerto. Poco dopo, Tosca viene introdotta
nella stanza, ci abbracciamo commossi: ha capito tutto, le mie
intenzioni ed il gioco viscido di Scarpia. Ma ormai è troppo tardi:
mi trascinano via, mi legano ed iniziano a torturarmi. So che di là
il vigliacco cercherà di far parlare la mia donna, ma sono convinto
che lei non si lascerà sfuggire nulla. Intanto la tortura si fa più
feroce, gli uncini mi dilaniano le tempie, mi spremono il sangue e,
anche se potrei resistere all’infinito, non riesco a trattenere
urla di dolore. Ad un certo punto svengo e mi risveglio davanti a
Scarpia: abbraccio Floria, ma, appena intuisco che ha tradito il
segreto, per un attimo la odio. Sono stati i miei lamenti, che lei
ha udito con orrore al di là del muro, ad indurla a confessare il
nascondiglio. Forse, con la sua confessione, avrebbe potuto salvarmi
la vita, ma, appena un messaggero informa Scarpia della sconfitta
delle truppe borboniche ad opera di Napoleone, non posso trattenere
un urlo di vittoria e, mentre inveisco contro quell'uomo che tanto
odio, mi trascinano verso il carcere: a questo punto la mia condanna
a morte è certa. Mi dirà poi Tosca che Scarpia arriverà a
proporle di inscenare per me una finta fucilazione, risparmiandomi
così la vita, chiedendole in cambio di concedersi a lui. Che male
deve aver fatto al cuore di Floria, vissuta sempre nella devozione
all’arte ed alla Madonna, un simile ricatto! Un male così feroce
da trasformarla in un’assassina: vedendo quell’aguzzino
gettarglisi addosso, prende un coltello dalla tavola imbandita e
glielo pianta nel cuore. Ci voleva una donna, la mia donna, per
liberare Roma da quell’essere temuto da tutti.
***
Ignaro
di tutto, nella mia cella, attendevo il compiersi della mia sorte.
All’alba, giusto un’ora fa, un carceriere viene ad annunciare la
mia prossima esecuzione. Corrompendolo con un anello, l’unica
ricchezza rimastami, ottengo di poter scrivere poche righe d’addio
a Floria: ma, come si fa, in qualche secondo, a trovare le parole da
dire all’unica persona cara che si lascia al mondo? Come si fa a
non pensare a quelle notti stellate in cui l’attendevo nella mia
villa, sentivo il cancello dell’orto, i suoi passi, il suo
profumo, e poi l’abbracciavo, l’accarezzavo, la baciavo, la
spogliavo appassionato. Io l’amavo, per lei amavo la vita, ora più
che mai; ma ormai restava solo un sogno: disperato, davanti a me non
vedevo che un plotone d’esecuzione.
Improvvisamente,
entra Floria trionfante, ed il destino sembra mutare. Mi racconta di
Scarpia, di come l’ha ucciso, di come sia comunque riuscita ad
impossessarsi del salvacondotto che, dopo una fucilazione simulata,
consentirà a noi due di prendere il mare a Civitavecchia e di
fuggire insieme verso una nuova vita. Devo solo recitare la mia
parte: al colpo di fucile, cadere e fingermi morto.
Ma Scarpia ha ingannato ancora una volta: quegli spari erano veri e,
mentre sorge il sole tiepido di giugno, il buio ed il freddo si
impossessano di me. Muoio per davvero, disperato, senza parlare,
senza sperare di rivederti nell’aldilà, perché la vita era
questa, e solo questa. So già che non resisterai a tanto, alla
perdita di me, di tutto. Mi sembra di vederti, mentre voli giù da
Castel Sant’Angelo.
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