Torna a Balde Home Page RACCONTI - IL RITORNO
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Abbandonai l’autostrada ed iniziai a percorrere il tratto di statale, una decina di chilometri che ancora mi separavano dalla mia città. Provai quasi vergogna per aver dovuto ricorrere alle carte stradali ed ai consigli del vecchio zio, ma dall’ultima volta che avevo visto quei luoghi erano ormai trascorsi trenta lunghi anni. Eppure ricordavo ancora bene quel treno che, sempre più velocemente, mi allontanava dal mondo in cui avevo vissuto i primi sei anni della mia vita mentre io, col viso attaccato al finestrino, scoprivo finalmente che cosa si nascondeva dietro la collina. Adesso ritornavo per sempre alle mie radici. L’eccitazione aumentava ad ogni curva, man mano che la strada mi svelava paesaggi che, ibernati finora nei ricordi, si materializzavano finalmente davanti ai miei occhi. Ero quasi arrivato al capolinea del filobus, in corrispondenza del quale avrei dovuto svoltare a destra per entrare nel quartiere di periferia dove avevo abitato. Il timore che le case, le strade, i giardini fossero stati distrutti e rimpiazzati con nuove costruzioni stava pian piano scomparendo: in effetti tutto sembrava come allora, come se la città avesse atteso il mio ritorno senza cambiare per non correre il rischio di non piacermi più. Adesso i flash dei ricordi si susseguivano sempre più velocemente, ad ogni incrocio, ad ogni portone, ad ogni cortile. Fermai la macchina e scesi, preparandomi a gustare quelle sensazioni provenienti dal passato che mescolavano scene di strada, odori, suoni. Mi rividi un mattino uscire in bicicletta, risentii l’odore di una serata estiva mentre tiravo calci ad un sasso, udii ancora le porte del filobus che si chiudevano. Mi stupii di come a volte restano impresse nella mente certe immagini apparentemente insignificanti, che ti accompagnano per tutta la vita e che non racconterai mai a nessuno.

Con un tuffo al cuore guardai verso quel balcone, dal quale mia madre si affacciava per ricordarmi che era l’ora di cena: la sua voce pareva risuonare ancora, tra le chiome degli alberi, sulle pietre della strada. La finestra si aprì ed uscì una donna a stendere il bucato. Per un attimo odiai quell’usurpatrice. Improvvisamente mi resi conto di non avere ancora incontrato nessuno che conoscessi. Nel grande palcoscenico in cui da bambino avevo recitato la mia parte, adesso erano cambiati gli attori: stesse scene, stesso copione, ma attori diversi.

Entrai nel bar all’angolo per un piccolo spuntino. Notai che tenevano ancora il quotidiano sul banco dei gelati, come quando noi bambini ci andavamo per leggere a sbafo le notizie sportive. La ragazza mi servì un panino. “Assaggi questo tortino alle erbe, è il piatto tipico della nostra città”, mi disse, con quell’accento poco gradevole, ma che per me era musica. Cercando conforto alla sua sensazione, aggiunse “…Lei è un turista, vero?”.

“…Sì, certo…”, risposi con un filo di voce pagando il conto. Uscii e tornai verso la macchina, verso l’autostrada, verso il presente.